La Processione del Cristo morto e dell’Addolorata, e l’antichissima tradizione delle “trozzule” e dei penitenti

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SPECCHIA (Lecce) – Coloro che a Specchia la sera del Venerdì Santo seguono o partecipano alla Processione del Cristo morto e dell’Addolorata, da circa due anni hanno notato due insoliti oggetti di legno e ferro nelle mani dei fratelli della Confraternita di S. Antonio da Padova e sentire da essi dei rumori secchi e lignei, prodotti dalla “Troccola”, localmente chiamato “trozzula”. Uno strumento ligneo su cui si percuote un ferro utilizzato per auspicare la resurrezione dei morti, suono prodotto da un asse di legno con due maniglie sulle due facciate che vengono fatte battere ruotando in due sensi lo strumento con la mano. Chi la suona è definito il troccolante.Il suono ricorda a tutti della morte di Gesù e che si doveva osservare il dovuto rispetto e silenzio. La “Troccola”, come attestano molti sacerdoti, veniva usata al termine dell’Ufficio delle Tenebre (Officium tenebrarum), e ancora oggi evoca nelle radici storiche del Vangelo il fragore della terra su cui scesero le tenebre con la morte di Gesù, in quel buio che avvolge le Chiese, prima della luce della Resurrezione pasquale. Il venerdì santo era lutto per tutta la chiesa. Si legavano le campane e i campanelli, si chiudevano gli organi, tutto diventava muto. Le campane e i campanelli erano sostituiti nella loro funzione di richiamo dalla trozzula.

Ogni anno una partecipata processione attraversa il borgo antico di Specchia e si snoda per le strade principali della cittadina, quando i “confratelli”, con una mantellina nera o celeste, colori tradizionali rispettivamente delle Confraternite di S. Antonio da Padova e della Madonna Assunta in cielo, trasportano sulle spalle la statua di cartapesta del Cristo Morto, di ottima fattura, realizzata nella prima metà del ‘900 dal leccese Manzo, visibile in un’urna a vetro durante il resto dell’anno in Chiesa Madre. Nella processione è seguita, a poca distanza, da quella dell’Addolorata, con il telaio in fasce di legno, il vestito e il mantello di seta nera ricamata in oro, esprimendo nel volto un condensato di dolore, fede ed estasi.

In questo rito pasquale, viene rappresentata una tradizione secolare, risalente probabilmente al Medioevo e riproposta ai giorni nostri. Tra le due lunghe file laterali di consorelle e confratelli, che con le lanterne accese precedono le statue, prendono posto i “penitenti”, che coperti in volto da un cappuccio abbassato sugli occhi e “abito” con i colori della relativa Confraternita, con il cordone bianco con tre nodi da legare alla vita e da far pendere sul lato destro ed a piedi nudi, richiamo alle rozze tuniche di lino o di juta, l’abbigliamento della penitenza di memoria biblica, trasportando sulle spalle una pesante croce in legno d’ulivo, percorrono tutto il tragitto della processione per espiare i propri peccati.

Senza far conoscere la propria identità ai numerosi fedeli che seguono o che aspettano il passaggio della processione lungo le strade di Specchia, questi individui, in incognito, per emulare Cristo nel suo cammino verso il Golgota, rappresentando un momento del dolore della Passione, prendono contatto con anticipo il Priore della Confraternita interessata, per comunicarli la propria volontà a ricoprire tale ruolo e poco prima di raggiungere la Chiesa Madre per prendere parte al rito religioso, a seconda dei casi,lontani da occhi indiscreti, nelle sagrestie delle Chiese delle Confraternite, indossano il vestito e il copricapo, con il colore rosso per S. Antonio da Padova e bianco per la Madonna Assunta in cielo.