Nuovo Teatro Verdi: Elio canta e recita Enzo Jannacci

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BRINDISI – La stagione del Nuovo Teatro Verdi di Brindisi entra nel vivo e prosegue con Ci vuole orecchio, un viaggio nel mondo musicale del cantautore milanese Enzo Jannacci. Protagonista un altro milanese doc, Elio – voce della storica di “Elio e le Storie Tese” – che canta e recita il poetastro, come amava definirsi. Lo spettacolo è in programma martedì 6 dicembre con inizio alle ore 20.30. La serata è inserita nel cartellone della Fondazione Nuovo Teatro Verdi con la partecipazione di Enel in veste di main sponsor. I biglietti sono disponibili presso il botteghino del Teatro – aperto dal lunedì al venerdi ore 11-13 e 16.30-18-30 e il giorno dello spettacolo ore 11-13 e 19-20.30 – e anche online su rebrand.ly/CiVuoleOrecchio. Info 0831 562554 e botteghino@nuovoteatroverdi.com.

 

Lo spettacolo, con la regia di Giorgio Gallione, vede al fianco del protagonista, Alberto Tafuri al pianoforte, Martino Malacrida alla batteria, Pietro Martinelli al basso e contrabbasso, Sophia Tomelleri al sassofono e Giulio Tullio al trombone. Enzo Jannacci è stato il cantautore più “esagerato” della storia della canzone italiana, in grado di intrecciare temi e stili apparentemente inconciliabili: allegria e tristezza, tragedia e farsa, disperazione e leggerezza. E ogni volta il suo sguardo, poetico e bizzarro, è riuscito a spiazzare e stupire: popolare e anticonformista nello stesso tempo. Jannacci è anche l’artista che meglio di chiunque altro ha saputo raccontare la Milano delle periferie degli anni Sessanta e Settanta, trasfigurandola in una sorta di teatro dell’assurdo realissimo e toccante, nel quale agiscono miriadi di personaggi picareschi e borderline, ai confini del surreale. “Roba minima”, diceva Jannacci: barboni, prostitute coi calzett de seda, ma anche cani coi capelli o telegrafisti dal cuore urgente.

 

Un Buster Keaton della canzone, nato dalle parti di Lambrate, verrà rivisitato, reinterpretato e “ricantato” da Elio. Sul palco, nella coloratissima scenografia, cinque musicisti, i suoi stravaganti compagni di viaggio, a formare un’insolita e bizzarra carovana sonora. A loro spetterà il compito di accompagnare l’effervescente confronto tra due saltimbanchi della musica alle prese con un repertorio umano e musicale sconfinato e irripetibile, arricchito da scritti e pensieri di compagni di strada, reali o ideali, di “schizzo” Jannacci. Da Umberto Eco a Dario Fo, da Carlo Emilio Gadda a Cesare Zavattini, da Beppe Viola a Michele Serra. Uno spettacolo giocoso e profondo perché «chi non ride non è una persona seria». Uno spettacolo un po’ circo e un po’ teatro-canzone, nel quale la band permette ad Elio, filosofo assurdista e performer eccentrico, di surfare sul repertorio dell’amato Jannacci, una sorta di unicum nella scena cantautorale italiana che ha alternato brani fatti di ironia malinconica, feroce e mai scontata, a struggenti canzoni d’amore che, come lui, continuano a sembrare in bianco e nero, anche oggi che ogni cosa è a colori e in definizione oled: sovversione del senso comune, mondo alla rovescia, ludica aggressione alla noia e ai linguaggi standardizzati e autentica e viscerale passione per il dubbio.

 

Nel caleidoscopio infinito di figure che abitano l’universo Jannacci trovano posto anche personaggi dolenti, clown tristi e inadeguati che spesso inciampano nella vita. Lo spettacolo diventa così un viaggio in un pantheon teatrale, dove per vivere “ci vuole orecchio” e dove, da saltimbanchi e cantastorie, si vive e si muore. Jannacci ha diviso con Gaber il trono di una Milano poetica e bizzarra scomparsa nella nebbia, lasciandoci brani che tutti possono cantare perché parlano di tutti. «Ci vuole orecchio non è un omaggio ma una ricostruzione del mondo di nonsense, comico e struggente di Jannacci – ha detto Elio, un viaggio dentro le sue epoche, mai uguali le une alle altre: c’è il personaggio comico e quello che ti spezza il cuore, ci sono risate e drammi. Un percorso tra contrasti e opposti, un po’ come è la vita: imperfetta. E nessuno meglio di chi abita nel nostro Paese lo sa». Ma nello storyboard dello spettacolo nessuna testimonianza diretta, nessun appunto di prima mano. I due artisti non si sono mai incontrati: «Io sono un timido – ha continuato il cantante e polistrumentista –. Mai avrei avuto il coraggio di dirgli ‘sono un tuo fan’. Una volta ci siamo giusto incrociati negli studi della Rai. Lui ha bofonchiato qualcosa, io pure, lui non ha capito, io nemmeno. E questo è il solo contatto che ho avuto con Enzo Jannacci». Poi una curiosità: «Mio papà era stato compagno di classe di Jannacci – ha concluso -, me ne parlava, me lo faceva ascoltare e mi faceva già ridere. Poi da adulto mi ha affascinato la dignità del comico che lui ha portato nella canzone d’autore e lo stile surreale della sua risata, che poi era il clima del Derby, il cabaret di Milano, che sempre per ragioni anagrafiche ho mancato. Col senno di poi rimpiango di non avere avuto dieci anni di più: gli anni settanta, dilaniati dal terrorismo, sul piano artistico sono stati tra i più liberi e rivoluzionari. In quegli anni ci sono tutti i miei dèi, uno di questi è proprio Jannacci».