Alla scoperta del Salento: la statua di Fanfulla, che fu eroe e condottiero

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LECCE – Tra edicole, nicchie preziose e chiese, a Lecce si cela meditabonda la statua di Fanfulla che solitaria abita una piazzetta e osserva i bambini passare tra le braccia di genitori e nonni che davanti a lei si fermano per narrarne la leggenda, a volte mischiando storia e storie.

Per i leccesi non è la “statua di Fanfulla”, ma semplicemente Fanfulla, come si trattasse di un illustre concittadino che gentile accoglie in casa priora chiunque voglia scambiare quattro chiacchiere.

Capita così di affezionarsi a Fanfulla, darsi appuntamento “da Fanfulla”, bere qualcosa alzando i calici alla salute di Fanfulla.

Qualcuno, interpretando fantasiosamente la targa sul basamento, narra che Antonio Bortone, lo scultore salentino che plasmò la statua di Fanfulla, fosse realmente un mago e avesse imprigionato nel bronzo un briciolo dell’anima del condottiero, tanto che se la di fissa per un tempo ragionevolmente lungo, sarà possibile vederla muoversi.

“Sono Tito da Lodi detto Fanfulla.
Un mago di queste contrade Antonio Bortone mi trasformò in bronzo.
Lecce ospitale mi volle qui ma qui è dovunque.
Dio e Italia nel cuore.
Affiliamo la spada contro ogni prepotenza contro ogni viltà
MCMXXI”

Così recita la targa commemorativa con le parole di Brizio De Santis apposta sul basamento e che offre poche, ma importanti informazioni circa la levatura morale di Antonio Bortone e il misterioso Tito da Lodi, uomo d’armi, amante di verità e giustizia.

La figura di Tito da Lodi, in realtà è avvolta nella nebbia del tempo e del mito, le notizie più attendibili sulla sua identità giungono da Napoli, dove i documenti rinvenuti presso la tesoreria, riportano come nome di battesimo “Bartolomeo”.

Neppure la sua terra di origine è ben identificata, ma secondo le versioni più attendibili sarebbe nato in provincia di Lodi, mentre il luogo e l’anno della sua morte si perdono nel mare magnum di date e luoghi: Marciano nel 1554, Lombardia, Pavia o forse Terracina nel 1525.

Di certo si sa che prese parte alla Disfida di Barletta, fu soldato di ventura, cavaliere e capitano di bandiera, combatté in nome di Firenze, per la Spagna e per il Sacro Romano Impero, non ebbe mai paura di impugnare la spada e pararsi contro chiunque minacciasse la sua terra.

Si dice che morto l’uomo, nasca la leggenda ed infatti, nel 1883 Massimo D’Azeglio dipinse Fanfulla come l’eroe che al fianco di Ettore Fieramosca, il 13 gennaio 1503 fu protagonista della famosa Disfida di Barletta battendosi con onore e coraggio.

La statua di Fanfulla è opera di Antonio Bortone, mago della scultura originario di Ruffano, nato nel 1844 e morto nel 1938.

Il Fanfulla rappresentato da Bortone, non è l’aitante cavaliere che ci si aspetterebbe di mirare, ma un uomo ormai avanti con gli anni, piegato della vita e dagli acciacchi, orbo da un occhio, vestito con in saio domenicano indossato in segno di penitenza.
Della mirabile vita di Fanfulla resta uno spadino, che affila con perizia, tornado indietro nel tempo, a quando era suo fedele compagno sul campo di battaglia o consapevole che presto giungerà il momento di abbandonare la vita monastica per tornare a combattere.

La storia della statua di Fanfulla riflette la vita accidentata dell’eroe che rappresenta e probabilmente l’unica mano degna di scolpirla era proprio quella del sanguigno e passionale Antonio Bortone.

Nel 1877 infatti, Antonio Bortone, in rotta di collisione con i suoi colleghi fiorentini, decise di dare prova della sua abilità realizzando la statua di Fanfulla in gesso.

La statua fu spedita alla Mostra Internazionale di Parigi, dove a causa del lungo viaggio, giunse ammaccata e nonostante il rifiuto dell’artista di recarsi in loco per sistemarla, vinse il terzo premio grazie anche al restauro dello scultore napoletano Vincenzo Gemito.

Nel capoluogo toscano, la statua di Fanfulla rischiò più volte di finire mille pezzi, fino a quando il professor Brizio De Sanctis, colui che definì Bortone “mago dello scalpello”, decise di farla portare a Lecce, dove fu accolta da Giuseppe Pellegrino, che la donò al museo civico.

Dopo anni di solitudine, quindi, la statua di Fanfulla trovò una collocazione presso il Sedile di Lecce.

Dopo un breve soggiorno a Firenze per essere fusa in bronzo, la statua fu restituita ai leccesi che nel 1922 festeggiarono il suo ritorno a casa posizionandola di fronte Palazzo Carafa, ma la statua di Fanfulla sembrava destinata a non trovare pace, infatti alcuni anni dopo fu trasportata piazzetta Raimondello Orsini, in seguito fu spostata lungo il viale principale della Villa Comunale, finché alle soglie del nuovo millennio, nel 1999, finalmente tornò in quella che sembra essere la sua sede naturale: Piazza Raimondello Orsini.