Domani, venerdì 18 luglio, per Classiche Forme, il festival internazionale di musica da camera fondato e diretto dal 2017 dalla pianista Beatrice Rana, arriva l’atteso concerto sul mare di Santa Maria di Leuca.
“Pour la fin du Temps” il titolo di questo appuntamento speciale, alle ore 21.00, sulla scena della Basilica di Santa Maria de Finibus Terrae.
Una delle novità più lapalissiane di questa nona edizione di Classiche Forme è, infatti, sicuramente la nuova cornice che si aggiunge alla ormai consolidata lista dei “fuori porta” del festival. Uno sfondo unico accompagnerà un programma musicale altrettanto singolare: dove la terra finisce e i due mari si incontrano, dove il canto di Leucasia risuona ancora nel vento, le mani di grandi interpreti come Kevin Spagnolo al clarinetto, Andrea Obiso al violino, Ettore Pagano al violoncello e Massimo Spada al pianoforte, evocheranno due storie di potere e musica rivali.
Questo concerto racconta una storia di resistenza artistica attraverso due capolavori che incarnano strategie opposte ma complementari per salvaguardare la libertà creativa di fronte alle pressioni del potere. La Suite Italienne di Stravinskij e il Quatuor pour la fin du temps di Messiaen rappresentano due risposte emblematiche alle sfide politiche e culturali del XX secolo, dove la musica diventa territorio di negoziazione tra conformismo e ribellione, tra compromesso e testimonianza: come la desolazione della terra finisce nel mare, così l’annullamento dell’umanità nei campi di concentramento.
La genesi di entrambe le opere rivela quanto la storia personale dei compositori si intrecci con i grandi drammi del secolo. Stravinskij, dopo lo scandalo del Sacre du printemps (1913) che aveva provocato una delle più famose risse nella storia della musica classica, si trova negli anni Venti di fronte a una scelta cruciale: continuare sulla strada della provocazione o cercare una riconciliazione con il pubblico borghese? La Suite Italienne, derivata dal balletto Pulcinella (1920), rappresenta la sua risposta diplomatica. Commissionato da Diaghilev per i Ballets Russes, il lavoro nasceva da un’operazione quasi di intelligence culturale: Diaghilev aveva convinto Stravinskij a lavorare su musiche attribuite a Pergolesi, salvo poi scoprire che molte erano apocrife. Il compositore russo trasformò questo equivoco filologico in manifesto estetico, creando quello che lui stesso definì “un’opera di critica costruttiva”.
Messiaen, trent’anni dopo, si trova in una situazione drammaticamente diversa ma altrettanto estrema. Catturato dall’esercito tedesco nel 1940 durante la disfatta francese, viene internato nello Stalag VIII-A di Görlitz. È qui che un caso fortuito – la presenza di tre musicisti prigionieri e di alcuni strumenti – genera una delle opere più spiritualmente intense del repertorio. Il comandante del campo, Karl-Albert Brüll, si rivela paradossalmente un melomane che facilita la realizzazione del concerto. La prima esecuzione, il 15 gennaio 1941 davanti a cinquemila prigionieri di guerra, diventa un evento di resistenza culturale senza precedenti: Messiaen racconta di non aver mai avuto un pubblico così attento e commosso.
La genesi di entrambe le opere rivela quanto la storia personale dei compositori si intrecci con i grandi drammi del secolo. Stravinskij, dopo lo scandalo del Sacre du printemps (1913) che aveva provocato una delle più famose risse nella storia della musica classica, si trova negli anni Venti di fronte a una scelta cruciale: continuare sulla strada della provocazione o cercare una riconciliazione con il pubblico borghese? La Suite Italienne, derivata dal balletto Pulcinella (1920), rappresenta la sua risposta diplomatica. Commissionato da Diaghilev per i Ballets Russes, il lavoro nasceva da un’operazione quasi di intelligence culturale: Diaghilev aveva convinto Stravinskij a lavorare su musiche attribuite a Pergolesi, salvo poi scoprire che molte erano apocrife. Il compositore russo trasformò questo equivoco filologico in manifesto estetico, creando quello che lui stesso definì “un’opera di critica costruttiva”.
Messiaen, trent’anni dopo, si trova in una situazione drammaticamente diversa ma altrettanto estrema. Catturato dall’esercito tedesco nel 1940 durante la disfatta francese, viene internato nello Stalag VIII-A di Görlitz. È qui che un caso fortuito – la presenza di tre musicisti prigionieri e di alcuni strumenti – genera una delle opere più spiritualmente intense del repertorio. Il comandante del campo, Karl-Albert Brüll, si rivela paradossalmente un melomane che facilita la realizzazione del concerto. La prima esecuzione, il 15 gennaio 1941 davanti a cinquemila prigionieri di guerra, diventa un evento di resistenza culturale senza precedenti: Messiaen racconta di non aver mai avuto un pubblico così attento e commosso. Entrambi i compositori devono confrontarsi con il potere, ma adottano strategie antitetiche. Stravinskij sceglie la via della seduzione intellettuale: la Suite Italienne presenta un linguaggio armonico audace mascherato da forme rassicuranti. I suoi “prestiti” dal Settecento non sono mai citazioni passive, ma reinvenzioni che introducono politonalità e asimmetrie ritmiche sotto la superficie di una scrittura apparentemente tradizionale. Messiaen, dal canto suo, trasforma la prigionia in cattedrale sonora. I suoi “modi a trasposizione limitata” – scale innovative che generano armonie di luminosità quasi soprannaturale – diventano strumento di evasione spirituale. Ma la sua non è fuga dalla realtà: è trasformazione della realtà attraverso la fede. Quando nel quinto movimento, “Louange à l’Éternité de Jésus”, il violoncello intona una melodia di struggente bellezza sostenuto dagli accordi pianistici, non stiamo assistendo a consolazione religiosa, ma a un atto di resistenza metafisica. Messiaen dichiara che il tempo umano – quello della guerra, della prigionia, della sofferenza – può essere trasceso attraverso l’esperienza estetica.
Quello che emerge da questo programma è una riflessione sulla funzione sociale della musica d’arte nel mondo contemporaneo. Stravinskij e Messiaen dimostrano che l’autonomia estetica non significa isolamento dalla storia, ma capacità di trasformare le pressioni esterne in energia creativa. Le loro opere sopravvivono non malgrado il loro tempo, ma grazie alla loro capacità di metabolizzarlo artisticamente.
La lezione che ci consegnano è duplice: la musica può resistere al potere sia attraverso la seduzione intellettuale sia attraverso la testimonianza spirituale. Entrambe le strategie richiedono coraggio e competenza tecnica suprema. Entrambe dimostrano che, nelle mani di veri maestri, anche le circostanze più avverse possono generare bellezza duratura.
L’ascolto di queste opere oggi, in un’epoca in cui la musica d’arte deve nuovamente confrontarsi con pressioni economiche e culturali, ci ricorda che la qualità artistica nasce spesso dalla tensione, non dalla comodità. E che i veri capolavori sono quelli che riescono a trasformare le catene in ali.
Il concerto di venerdì 18 luglio è preceduto, alle ore 19.00, dalla Conversazione “Musica e Potere” con lo scrittore e storico della musica Sandro Cappelletto, sempre presso la Basilica di Santa Maria de Finibus Terrae.
SUCCESSIVI APPUNTAMENTI
La settima serata di CF25, quella di sabato 19 luglio riporta il festival a Masseria Le Stanzie di Supersano per il concerto “(tra parentesi)”, alle ore 20, con Chaos String Quartet e Beatrice Rana al pianoforte. Qui in prima esecuzione assoluta la commissione d’opera Classiche Forme 2025 affidata a Riccardo Panfili. Sarà incastonata tra meraviglie come il Quartetto in sol minore op. 20 no. 3 di Haydn e il Quintetto op.44 di Schumann.
Si chiude domenica 20 luglio, ore 21.00, nel Chiostro del Rettorato di Lecce con la consueta e attesa Maratona finale. Sul palco Kevin Spagnolo, Chaos String Quartet, Andrea Obiso, Georgy Kovalev, Beatrice e Ludovica Rana e Massimo Spada. Si va dall’Ouverture su temi ebraici op. 34 di Prokof’ev al Trio per clarinetto, violino e pianoforte di Schoenfield, al Quartetto n. 10 in mi bemolle maggiore op. 125 n. 1 D87 di Franz Schubert, al contemporaneo Quartetto n. 2 di Verunelli, passando per Ma mére l’Oye suite per pianoforte a quattro mani di Ravel e Night, per pianoforte a quattro mani di Fazil Say, per chiudere con Johannes Brahms e il suo Sestetto n. 2 in sol maggiore op. 36. Un evento che fissa l’idea di musica come festa.