Giovedì 30 ottobre “Fragile” della compagnia Terrammare per la stagione Per un teatro umano del progetto Teatri del Nord Salento

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Giovedì 30 ottobre (ore 20:45 | ingresso 10 – 8 euro) al Teatro Comunale di Leverano, per  la stagione Per un teatro umano del progetto Teatri del Nord Salento, la compagnia Terrammare Teatro proporrà Fragile, scritto e diretto da Tino Caspanello con Silvia Civilla e Pietro Pizzuti. Piccola fenomenologia di coppia. Due artisti di strada. Ricatti, recriminazioni, sottili violenze celate da malinconie e poesia. I due, abitualmente in giro per le piazze, si ritrovano in un teatro, un teatro vuoto, in attesa di un pubblico. E proprio durante l’attesa, nel teatro deserto, consumano il rito della loro esistenza fatta di rinunce, giochi, riflessioni sul senso di una vita fuori da una misura comune. La donna balla, l’uomo gonfia i palloncini senza riuscirci. Due esseri umani in attesa: dell’esibizione, di una moneta che riscatti le loro fatiche e il freddo di certe notti, il dolore di ferite che ci si infligge a vicenda e il tempo per risanarle. «Il lavoro di regia ha fissato come primo obiettivo l’interpretazione del testo, affinché ogni parola, ogni pausa, ogni sotto-testo acquisisse i contorni di piccole verità. Ruolo fondamentale ha giocato l’attualità che viviamo, perché la storia dei due protagonisti, alla luce degli eventi contemporanei, diventa paradigma di una condizione lavorativa ed esistenziale che non può e non deve lasciare indifferenti», sottolinea Tino Caspanello. «Abbiamo cercato di creare una dinamica di intimità che portasse i due personaggi quasi ad una analisi della loro relazione e il pubblico a riflettere sulla fragilità delle stesse, così legate non solo alle scelte personali, ma anche, o forse soprattutto, alle condizioni che la vita spesso ci impone». Dopo Con la carabina della Compagnia Licia Lanera (10 e 11 ottobre) e Solo quando lavoro sono felice (24 ottobre), e in attesa del programma completo che accompagnerà il pubblico fino a maggio – tra teatro, musica, danza, spettacoli per tutta la famiglia – prosegue dunque la stagione Per un teatro umano del progetto Teatri del Nord Salento, promosso da Factory Compagnia Transadriatica, in collaborazione con Blablabla, con il sostegno di Ministero della Cultura, Regione Puglia, Puglia Culture, Trac – Teatri di residenza artistica contemporanea e i comuni di Novoli, Leverano, Campi Salentina, Guagnano, Trepuzzi e Brindisi.

Sabato 8 (ore 20:45 | ingresso 10 – 8 euro) e domenica 9 novembre (ore 18:30 | ingresso 10 – 8 euro) al Teatro Carmelo Bene di Campi Salentina, Factory compagnia transadriatica torna in scena con (H)Amleto. Ispirato alla celebre opera di William Shakespeare, curato da Tonio De Nitto e Fabio Tinella, lo spettacolo – realizzato con il supporto di Direzione Generale Spettacolo del Ministero della Cultura e Fondo Beneficienza San Paolo – è il punto di arrivo della ricerca di Factory su teatro e disabilità, un’indagine sul corpo non conforme attraverso lo sguardo e le parole non conformi che accompagnano la discesa nell’abisso shakespeariano. Un gruppo misto di persone con e senza disabilità si è cimentato con la tragedia per eccellenza, ne ha scandagliato i temi e le possibilità provando, attraverso di essa a rivendicare la propria esistenza, quell’esserci, quel “to be” che ci fa aggrappare alla vita anche quando ne perdiamo il senso. Anche le parole di questo (H)amleto sono scritte da una penna non conforme: Fabrizio Tana, autore e attore con la sindrome di Down, scrive il testo come un parto libero di pensieri raccolti per più di un anno, attraverso messaggi e lettere scambiati con le guide, parole in cui persona e personaggio si confondono inventando una grammatica speciale, essenziale ed esistenziale. Un Hamleto nella testa di Hamleto, affollata dalle ossessioni che non gli danno pace, che non gli consentono più di disgiungere la realtà dalle proiezioni della sua mente. Sul palco Alessandra Cappello, Lara Capoccia, Anna Giorgia Capone, Nicola De Meo, Antonio Guadalupi, Silvia Lodi, Alessandro Rollo, Antonella Sabetta, Stefano Solombrino, Diomede Stabile, Fabrizio Tana, Carmen Ines Tarantino, Fabio Tinella con voiceOver di Lorenzo Paladini e musiche di Paolo Coletta.

Venerdì 14 novembre (ore 20:45 | ingresso 10 – 8 euro) al Teatro Carmelo Bene di Campi Salentina da non perdere Il tango delle capinere di Atto Unico/Sud Costa Occidentale con Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco per la regia di Emma Dante. Una vecchina fruga dentro un baule. Estrae un flacone di pillole, un velo da sposa, un telecomando, tanti palloncini colorati. Da un altro baule arriva la musica di un carillon. Compare un uomo anziano.  Indossa un vecchio abito da cerimonia liso dal tempo. L’uomo guarda la donna e sorride. Subito la raggiunge. L’abbraccia. La donna appoggia la testa sulla spalla di lui.  Lui le fa una carezza. Lei lo tiene stretto per non perdere l’equilibrio. Lui la sostiene. Ballano. Lui estrae dalla tasca un orologio da taschino: meno cinque… meno quattro… meno tre… meno due… meno uno… e al rintocco della mezzanotte lui fa scoppiare un petardo. Si baciano. Lui lancia in aria una manciata di coriandoli. La festa ha inizio. Buon anno, amore mio! Lui e lei adesso hanno sedici anni. In costume da bagno si promettono amore eterno. Sulle note di vecchie canzoni festeggiano l’arrivo dell’anno nuovo ballando a ritroso la loro storia d’amore. Il tango delle capinere è l’approfondimento di uno studio, Ballarini, che apparteneva alla trilogia degli occhiali. È il componimento di un mosaico dei ricordi che rende sopportabile la solitudine di chi disgraziatamente sopravvive all’altro.

Sabato 22 novembre (ore 20:45 | ingresso 10 – 8 euro) al Teatro Comunale di Novoli le canzoni di Mina (cantate in playback) saranno protagoniste del monologo Vorrei una voce di Tindaro Granata, ispirato dall’incontro con le detenute-attrici del teatro Piccolo Shakespeare all’interno della Casa Circondariale di Messina nell’ambito del progetto Il Teatro per Sognare di D’aRteventi diretto da Daniela Ursino, prodotto da LAC Lugano Arte e Cultura. Il fulcro della drammaturgia è il sogno: perdere la capacità di sognare significa far morire una parte di sé. Vorrei una voce è dedicato a coloro i quali hanno perso la capacità di farlo. «Dopo averle incontrate, capii che erano come me, o forse io ero come loro: non sognavamo più. Guardandole mi sono sentito recluso, da me stesso, imbruttito da me stesso, impoverito da me stesso. Avevo dissipato, inconsapevolmente, quel bene prezioso che dovrebbe possedere ogni essere umano: la libertà. Proposi così di fare quello che facevo da ragazzo quando ascoltavo le canzoni di Mina: interpretavo le mie storie fantastiche con la sua voce», sottolinea l’autore, attore e regista. «Con le detenute abbiamo messo in scena l’ultimo concerto live di Mina, tenutosi alla Bussola il 23 agosto 1978. L’idea era quella di entrare nei propri ricordi, in un proprio spazio, dove tutto sarebbe stato possibile, recuperando una femminilità annullata, la libertà di espressione della propria anima e del proprio corpo, in un luogo che, per forza di cose, tende quotidianamente ad annullare tutto questo. Ognuna di loro aveva a disposizione due canzoni di Mina e, attraverso il canto in playback, doveva trasmettere la forza e la potenza della propria storia per liberarsi da pensieri, angosce, fallimenti di una vita. Mi sono trovato, con loro, a cercare il senso di tutto quello che avevo fatto fino ad allora».

Sabato 6 dicembre (ore 20:45 | ingresso 10 – 8 euro) al Teatro Comunale di Leverano ultimo appuntamento dell’anno con Quello che non c’è di Giulia Scotti. Lo spettacolo – vincitore del Premio Tuttoteatro.com Dante Cappelletti 2023 e menzione speciale del bando Odiolestate 2023 – nasce da una vicenda familiare taciuta per anni: la morte della zia Daniela, una presenza rimossa dalla memoria collettiva e mai raccontata apertamente. Attraverso un racconto intimo e lucido, l’autrice ricostruisce la storia ascoltata dal padre a venticinque anni, intrecciando memorie d’infanzia, silenzi domestici e verità a lungo celate. «Non ho ricordi di lei da viva, ne di noi due insieme. C’è una sua fotografia, quella sì la ricordo, non mi è mai piaciuta, è un po’ sgranata, un po’ anonima, e la faccia di mia zia è gialla, o almeno così mi sembrava quando la guardavo da bambina. È la foto che si consegna agli amici e ai parenti il giorno del funerale», sottolinea Giulia Scotti. «Poi un giorno, avevo venticinque anni, mio padre è venuto da me e mi ha raccontato la storia di Daniela. Lo ha fatto senza fermarsi, senza omettere niente, come se aspettasse quel momento da tutta la vita. Questa è la storia di mia zia come l’ho saputa da mio papà, è la storia di un uomo che vuole salvare sua sorella dalla morte ma non ci riesce. Quasi tutto è vero, alcuni pezzi sono inventati».  Il risultato è un viaggio nella memoria e nel dolore familiare, dove il confine tra realtà e invenzione diventa spazio narrativo per restituire voce a chi è stato dimenticato. In scena, la storia si trasforma in un dialogo tra generazioni, tra ciò che è stato taciuto e ciò che finalmente può essere detto.