Una satira dei nostri tempi in sole quattro stanze: è Casa dolce casa – La domotica delle relazioni, lo spettacolo prodotto dal laboratorio teatrale della compagnia Margine Comunicante e da transverberA, che lunedì 10 novembre, alle ore 19 andrà in scena al Teatro Piccinni di Bari a conclusione di ]spatia[, la kermesse culturale diffusa che nelle scorse settimane ha aperto un nuovo spazio di dialogo sul tema del benessere e della salute mentale.
Dopo l’avvio con talk, performance, presentazioni di libri e laboratori tra Bari, Taranto e Massafra, la rassegna – promossa e organizzata dalla Cooperativa Sociale Spazi Nuovi, co-progettata da Odd Episodes e dal gruppo transverberA – giunge al suo momento conclusivo e sceglie il linguaggio del teatro per attivare una nuova forza generativa: fare spazio, creare nuove possibilità, fisiche e temporali, per contenere e liberare al tempo stesso un dibattito fatto di visioni e idee nuove, in cui la cultura, le pratiche artistiche e la salute mentale possano incontrarsi e generare comunità. E proprio l’idea e il senso di comunità è al centro di questa produzione teatrale, che ruota intorno al tema dell’abitare come forma di accoglienza e di apertura all’altro.
Lo spettacolo, a ingresso libero, in scena al Piccinni grazie al sostegno dell’assessorato comunale alle Culture, sarà introdotto alle ore 18 dai saluti istituzionali del sindaco di Bari, dell’assessora comunale alle Culture e dal direttore generale della ASL di Bari, Luigi Fruscio.
Casa dolce Casa nasce dagli sviluppi del progetto “E se fossi costretto a rimanere? Processi creativi per la costruzione di legami sociali”, promosso dal Dipartimento di salute mentale della ASL di Caserta / UOSM 15 di Piedimonte Matese e realizzato dall’APS Rena Rossa in collaborazione con la Fondazione Bonaventura e transverberA. Un processo che si è nutrito di incontri e relazioni e che ha permesso, tra l’altro, di rimettere in discussione la distinzione tra pratiche “professionali” e pratiche “amatoriali” in riferimento all’attività teatrale e artistica in genere. Ciò che ne deriva è un’opera corale, affidata a un gruppo di lavoranti che costruiscono la scena sotto gli occhi del pubblico, smontandola e rimontandola senza sosta. Dal gruppo sono ogni volta selezionati i protagonisti delle diverse scene, corrispondenti ad altrettante “stanze”, che si concludono puntualmente con un tableau vivant, come se i personaggi si limitassero a eseguire un copione prestabilito.
Pensato come una satira dei nostri tempi, lo spettacolo indaga il fenomeno, al tempo stesso oscuro e banale, della paranoia, considerata come una malattia “domestica”. Si tratta di un invito a riflettere su ciò che accade quando pretendiamo di essere “padroni a casa nostra”, con il risultato di percepire l’altro come una minaccia e di trasformare gli altri in potenziali nemici. Casa dolce casa non si basa su un testo composto in precedenza: la scrittura si è sviluppata, al contrario, durante la realizzazione dello spettacolo stesso, con l’attiva partecipazione del collettivo. In tale processo creativo, sono stati ripresi e rielaborati una serie di riferimenti letterari, storici e filosofici – da Deleuze e Kafka, da Ovidio a Brecht, da Arendt ad Orwell – che hanno ispirato il gruppo nel suo lavoro di ricerca.
Sinossi
Risvegliandosi privi di memoria su un’isola deserta, i sopravvissuti a un’imprecisata catastrofe sognano di costruire il mondo perfetto. Hanno patito grandi sofferenze, perciò reclamano il diritto a una vita sicura, priva di turbamenti. Tuttavia un’ombra sinistra si aggira nelle case dove sono rintanati. Rumori di battaglia scompaginano la loro tavola, luci chiassose imbrattano il loro letto. Persino in bagno non riescono a stare tranquilli. Sembra che un nuovo diluvio minacci i loro progetti di rinascita. Da una stanza all’altra i legami si sfilacciano, cedono, esplodono. Poi una breccia si apre. In lontananza una terra ignota è apparsa. Disposti finalmente ad accogliere gli altri, qualcuno busserà alla loro porta. E così forse un mondo ricomincerà.













