Mina che dice addio alle scene e il sogno di libertà di un gruppo di carcerate in un monologo a più voci. Si muove lungo queste direttrici lo spettacolo dell’attore, regista e drammaturgo siciliano, Tindaro Granata, con cui la compagnia teatrale Crest, venerdì 21 novembre (ore 21), al TaTÀ di Taranto, inaugura la stagione «Periferie» sostenuta dalla Regione Puglia. Uno spettacolo fortemente ispirato dal lungo percorso teatrale che l’autore e attore siciliano ha realizzato al teatro Piccolo Shakespeare all’interno della Casa Circondariale di Messina con le detenute di alta sicurezza, nell’ambito del progetto Il Teatro per Sognare. Il fulcro della drammaturgia è, infatti, il sogno. Perché perdere la capacità di sognare significa far morire una parte di sé. E Tindaro Granata, che al termine dello spettacolo incontrerà il pubblico nel foyer, intervistato dalla giornalista Marina Luzzi, ha voluto dare voce a chi ha perso la capacità di farlo.
«Ero un giovane uomo, lavoravo, avevo una casa, una macchina e soprattutto persone che mi amavano, ma – racconta Granata – avevo smesso di provare gioia per quello che facevo, non credevo più in me stesso e in niente. Non so come sia successo, un giorno mi sono svegliato e non mi sono sentito più felice, né di fare il mio lavoro né di progettare qualsiasi altra cosa. Quando mi è arrivata la telefonata di Daniela Ursino, direttore artistico del teatro Piccolo Shakespeare all’interno della Casa Circondariale di Messina, con la proposta di fare un progetto teatrale con le detenute ‘per farle rivivere, sognare ritrovando una femminilità perduta’, ho capito, dopo averle incontrate, che erano come me, o forse io ero come loro: non sognavamo più. Guardandole mi sono sentito recluso, da me stesso, imbruttito da me stesso, impoverito da me stesso. Avevo dissipato, inconsapevolmente, quel bene prezioso che dovrebbe possedere ogni essere umano: la libertà. Proposi così di fare quello che facevo da ragazzo quando ascoltavo le canzoni di Mina: interpretavo le mie storie fantastiche con la sua voce».
Con le detenute Granata ma messo in scena l’ultimo live di Mina, Bussoladomani, il locale notturno sul lungomare di Marina di Pietrasanta, in Toscana, il 23 agosto 1978. L’idea era quella di entrare nei propri ricordi, in un proprio spazio, dove tutto sarebbe stato possibile, recuperando una femminilità annullata, la libertà di espressione della propria anima e del proprio corpo, in un luogo che, per forza di cose, tende quotidianamente ad annullare tutto questo. Ognuna di loro aveva a disposizione due canzoni di Mina e, attraverso il canto in playback, doveva trasmettere la forza e la potenza della propria storia per liberarsi da pensieri, angosce, fallimenti di una vita. E Granata si è trovato, con loro, a cercare il senso di tutto quello che avevo fatto fino ad allora.
Ma al tempo stesso Granata non ha voluto né ha potuto portare in scena le ragazze del Piccolo Shakespeare di Messina, perché quello che era stato realizzato in luogo di libertà, pur trovandosi dentro un carcere, era giusto rimanesse con loro e per loro. Così, in «Vorrei una voce» in scena c’è solo lui, che delle ragazze si porta dietro gli occhi, i gesti, le loro lacrime e i loro sorrisi. «E è grazie a loro – dice Granata -che racconto storie di persone che dalla vita vogliono un riscatto importante: vogliono l’amore per la vita, quella spinta forte ed irruente che ti permette di riuscire a sopportare tutto, a fare tutto affinché si possa realizzare un sogno».
Abbonamento ai 10 spettacoli di Periferie: € 120 – Biglietto unico € 15













