GALLIPOLI (Lecce) – Lontano dalla movida e dal chiacchericcio che insistente ogni anno offusca Gallipoli, resistono le sue bellezze più concrete, quelle che, parimenti al mare cristallino, la rendono culla di stupore e arte molto più di discoteche e lidi all’ultimo grido.
Ne è un esempio la Chiesa di San Francesco d’Assisi, la cui facciata su due livelli barocca in carparo realizzata nel 1736 da Mauro Manieri fa da cornice ad un tripudio di bizzarria e meraviglia artistica.
La parte inferiore della facciata presenta un portico ad arco, mentre quella superiore è caratterizzata dal movimento tipico barocco che prevede la parte centrale concava contrapposta a due corpi aggettanti e sulla sommità ospita lo stemma dei francescani e l’epigrafe che indica l’anno di costruzione.
Secondo la tradizione, fu proprio San Francesco d’Assisi a costruirla nel 1217, ma l’evidenza storica contrasta con la fantasia popolare trovando conferma nell’assenza di tracce tangibili che riportino al frate di Assisi, tuttavia sono state rinvenute tracce della presenza francescana nel chiostro confinante, risalenti però al XV secolo.
Dieci altari barocchi sono disposti lungo le pareti laterali della pianta cinquecentesca a tre navate con paraste che scandiscono gli spazi.
All’interno della chiesa sono ospitati il Presepe litico attribuito a Stefano da Putignano, la tavola “San Francesco d’Assisi con angeli e donatori” attribuita dalla tradizione a Giovanni Antonio de’ Sacchis, pittore friulano diretto concorrente di Tiziano, l’Annunciazione del Catalano, il crocefisso ligneo e da un organo costruito nel 1726 opera dei gallipolini Pietro e Simone Kircher.
L’opera più antica conservata nella Chiesa di San Francesco è un altorilievo lapideo di San Michele Arcangelo risalente agli ultimi decenni del 1400 proveniente dalla proveniente dalla chiesa di San’Angelo.
A rendere questa chiesa unica e misteriosa, è però la presenza al suo interno di due personaggi emblematici raccontati nei Vangeli: Misma il ladrone che non volle pentirsi sulla croce al fianco di Cristo e Disma, il ladrone buono che implorò perdono per i suoi peccati e conquistò la pace dello spirito.
I due ladroni, opera di Vespasiano Genuino, si trovano all’interno della cappella degli Spagnoli eretta nel XVII secolo per volontà di Giuseppe Della Cueva, Castellano di Gallipoli.
Le statue dei ladroni crocifissi sono collocate lateralmente e guardano al Cristo morto, nella stessa cappella si trovano le statue di Maria, Giovanni e Giuseppe d’Arimatea.
La leggenda narra che le vesti di Misma, conosciuto anche come Malladrone, si deteriorino a perenne ricordo della sua anima peccatrice che non cercò redenzione neppure nell’ora della morte.
Di certo la mano di Vespasiano Genuino fu guidata da rara destrezza quando scolpì il volto del Malladrone, con la sua espressione terrificante, destinata ad un’eternità di tenebre e tormenti, tanto che nel 1895, Gabriele D’Annunzio, giunto a Gallipoli e vista la statua, decise di conferirla all’immortalità letteraria ricordandone l’”orrida bellezza”.
di Claudia Forcignanò